Interventi Ordapride 2025
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Intervento di apertura
Nelle ultime settimane, sia sul territorio nazionale che su quello locale, gli episodi di violenza di genere, femminicidi e transcidi, gli abusi nei confronti delle persone trans e le ondate di odio si sono accumulati in un complesso di eventi mostruosi che come al solito non vengono presi per ciò che sono: delitti di stato e violenza sistemica.
È importante nominare ciò che dai media e dalle direttive politiche istituzionali viene bollato come “criminalità legata all’immigrazione” o “raptus” o qualsivoglia altra scusa.
Nominare ciò che viene nascosto ci aiuta a renderlo reale e a farlo emergere in tutta la sua problematicità.
Quando un uomo uccide la sua partner è perché per secoli la cultura patriarcale e misogina gli ha insegnato a vedere la donna come sua proprietà, permettendogli di farne ciò che vuole. Quando viene negata un’abitazione a una persona per motivi legati alla sua identità di genere è perché la cultura omofoba, binaria ed etero-cis normata ci insegna che le uniche persone degne di umanità sono coloro che rispettano l’ideale di famiglia nucleare. Quando una persona trans si toglie la vita è perché lo stato ha sbagliato tutto nelle possibilità di tutela che poteva offrire.
È vero che questo retaggio culturale così obsoleto e reazionario non è mai stato superato, perché non c’è mai stato un vero lavoro politico da parte delle istituzioni, ma è altrettanto vero che l’attuale governo si sta occupando di farci annegare collettivamente nella violenza e nel pregiudizio.
Ci scusiamo se siamo sembrate silenziose, credeteci, non lo siamo.
In questo mese ci siamo interrogate molto sul da farsi, abbiamo pensato a come sfogare la nostra rabbia e abbiamo riflettuto su una modalità di confronto collettivo che potesse risultare in una mossa politica attiva, non solo per mostrare dissenso ma per organizzarci dal basso a contrastare questa violenza, per quanto possibile, dalla formazione alle reti di supporto auto gestite.
Abbiamo sentito la necessità di riunirci assieme per camminare arrabbiate, tenendoci strette le mani e i cuori.
Orda è un richiamo, uno tsunami che non può essere bloccato, una spinta dal dentro verso il fuori e dal fuori verso il dentro. Orda è ascolto dei nostri corpi che avanzano incessantemente a ritmo di musica, urla e sussurri di cori.
Sappiamo tutt3 che essere qui oggi è un gesto di coraggio per molteplici aspetti. Il bavaglio sulle nostre facce ci impedisce, ogni giorno che passa, di parlare, vedere e respirare. Siamo soffocat3 da una politica repressiva che svuota la nostra vita di diritti che diamo sempre meno per scontato che siano fondamentali. Questo perché l’obiettivo è quello di deumanizzarci, allontarci da noi stess3 e dalla capacità di percepirci.
Questo stato malandato di cose non può altro che essere la miccia che fa incendiare gli animi di tutt3, rendendoci coscienti della necessita dello slancio ad un respiro collettivo che ci lega nella sorellanza e nella lotta.
In questo momento in cui siamo invase dai fascismi l’unica salvezza è stare insieme, fidarci delle altre persone, trovare i punti di connessione per creare delle alternative e ridisegnare modi di vivere, senza schemi preimpostati, che abbia come base un cambiamento radicale all’approccio umano canalizzato verso l’amore.
Per questo motivo, esortiamoci reciprocamente ad allenare una memoria collettiva, che ci faccia avere in mente che ogni persona a noi sconosciuta, o conosciuta, ha una storia, una vita, ha le sue esperienze e che tutte sbagliamo. Perché non ci sarebbe processo senza errori. Ricordiamo di non essere intransigenti, di porci in ascolto non giudicante, considerare l’altra persona con tutte le sue peculiarità come un arricchimento, come una possibilità di scambiare idee, ideali, vissuti reciproci e buone pratiche. Disabituiamoci a percepirci come individu3 da cui proteggerci, con cui competere. Perché a causa di questo potremmo rischiare di disunirci, non solo con l’esterno ma anche con l’interno. Anche questo passaggio di coscienza è una parte del processo continuo ed in divenire di liberazione da dinamiche capitaliste e patriarcali che, sono certa, riusciremo a decostruire, che dico, distruggere pezzo dopo pezzo.
Ed è per questo che vorremmo proporre un momento di assemblea aperto a tutte coloro che vorranno partecipare e capire insieme come riappropriarci del nostro diritto alla vita, alla sicurezza di camminare per le strade, al calore di un’abitazione.
Al momento le nostre energie sono assorbite completamente dagli eventi legati a Orda pride, nonché dai nostri vissuti personali, ed è per dare a questo spazio collettivo la dignità che merita che abbiamo deciso di posticiparne l’organizzazione.
Vi terremo aggiornate ma sappiate che ci siamo sempre, pensando a come rendere i nostri spazi sempre più utili al benessere della comunità.
Palo santo e rivoluzione
Intervento Mathe
Per questa seconda edizione di Orda Pride, mi sarebbe piaciuto contribuire con un intervento “come si deve”: riflettere sul percorso in generale, oppure scegliere un topic, scendere in profondità, condividere riflessioni, unire l’insoddisfazione alla decostruzione, magari tirare fuori qualcosa di edificante.
Ma la verità è che vorrei solo urlare.
È da un bel po’ di tempo a questa parte che sto facendo fatica a fare qualsiasi cosa, perché in fondo quello che sento veramente bisogno di fare è cacciare un urlo.
Penso alle persone in Palestina, e mi viene da cacciare un urlo.
Penso alle persone in Sudan, in Congo, in troppe altre denominazioni geografiche, in troppi mari, in ogni singolo CPR, in tutte le zone di margine o marginalizzate; agli animali non umani in ogni singolo allevamento intensivo e non.
Penso a questa creazione umana a tre teste che è il tardo-capitalismo neo-fascista e patriarcale, che agisce ogni giorno in ogni singolo atto violento, escludente, repressivo, genocida, razzista, specista, femminicida e omolesbobitransafobico.
È una pressione sul petto costante. La prima cosa di cui inizio a prendere coscienza la mattina quando mi sveglio, metto su il caffè, do da mangiare ai gatti; la cosa che mi porto dietro mentre attraverso la giornata di lavoro, faccio yoga, faccio la spesa, esco, prendo il bus, cammino, partecipo alla quinta assemblea della settimana. Rido, canto, mi scoppia il cuore di gioia per quanto amo questa comunità e le persone con cui sto condividendo questo percorso sociale e politico. E comunque mi viene da cacciare un urlo.
In qualsiasi momento, qualunque cosa stia facendo, una percentuale per nulla irrisoria delle mie energie viene impiegata nel soffocare quell’urlo.
Ed è pericoloso, pericolosissimo. Detesto farlo.
Perché a chi giova la repressione di un urlo di rabbia, di sdegno e di dolore?
Probabilmente a chi fa più comodo che rabbia, sdegno e dolore non vengano sentite fino in fondo e non si trasformino in altro. Magari azione.
Probabilmente a chi fa più comodo averci tutte e tuttu assuefattə agli orrori e al dolore. Sfinitə e distrattə. Anche se consapevolmente tali. Perché sicuramente non sta giovando né a me, né agli esseri umani e agli animali non umani che subiscono direttamente tutte le cose che noi abbiamo il privilegio di conoscere, almeno perlopiù, solo come spettatricə.
Temo che questa operazione di censura e repressione interna possa funzionare anche meglio di qualsiasi forma di censura e repressione esterna.
Vorrei urlare ora, ma mi piacerebbe davvero tanto non farlo da solə.
Quindi ho scritto questo breve intervento un po’ come una pagina di diario, e ora vorrei chiedere il vostro supporto. Vorrei chiedervi di urlare insieme a me. Urlare o fare rumore in qualche altro modo. Un po’ di personale che diventa politico.
Fatemi un segno se ve la sentite, se siete prontə.
Oggi di rumore ne stiamo già facendo un bel po’—rumore di gioia e di rabbia queer e rivoluzionaria, che sono bellissime. Dobbiamo continuare a tenercele strette e a coltivarle. Ma forse a volte non diamo abbastanza spazio al dolore. Forse perché temiamo di pesare troppo sulle nostre compagne, forse perché anche quello viene spesso strumentalizzato e diviene oggetto di spettacolarizzazione. Ma in questo contesto credo che sia importante prenderci il tempo di sentirlo, e anche rivendicarlo.
intervento UDU
Oggi siamo qui per celebrare l’orgoglio, la visibilità e la libertà.
Ma siamo qui anche per ricordare che non tutte possono sentirsi libere e sicure ogni giorno.f
Marzo 2025, in paesi come l’Ungheria, il governo ha vietato le manifestazioni Pride invocando la “protezione dei minori”, ma decine di ambasciate europee hanno espresso solidarietà e i marchi di resistenza non si fermano.
Giugno 2025, in America, la Corte Suprema ha confermato il divieto di cure mediche per la disforia di genere ai minorenni in Tennessee. L’amministrazione Trump ha tagliato finanziamenti a servizi vitali per i giovani trans, ad esempio al Trevor Project, organizzazione no-profit concentrata sulla prevenzione del suicidio per giovani lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer.
A Roma, nello stesso mese, tre ragazze transgender sono state accerchiate, insultate, picchiate e rapinate da un gruppo di uomini fuori da un locale.
Dall’inizio del 2025 le istituzioni nazionali hanno scelto di non dire una parola sulle aggressioni omolesbobitransfobiche in costante aumento, mentre hanno continuato a fomentare odio contro le carriere alias e l’inesistente ‘teoria gender’.
Il Governo Meloni continua a negare l’accesso al matrimonio egualitario,alle adozioni,facendo così una distinzione tra cittadine di serie A e di serie B.
È chiaro che questo Governo non difende la libertà, ma le opprime. Per questo il Pride è anche un grido contro un potere che ci vuole zitte, invisibili, nascoste.
Perché il Pride nasce dalla rabbia, da una rivolta, quella dei moti di Stonewall, una rivolta che non è ancora finita. Ricordiamo che è stata guidata da donne trans, nere e latine, da persone queer. Oggi siamo il loro eco e la loro voce che continua a farsi sentire.
Fino a quando l’identità di una persona sarà vista come un problema, finché amare potrà costare la vita, noi non potremo smettere di marciare.
Nonostante possa risultare un passo in avanti il riconosciemnto da parte della Corte Costituzionale della genitorialità automatica per i figli di coppie lesbiche, avveniuto a maggio 2025, siamo ancora persone escluse, discriminate, insultate, uccise,in quanto considerate “diverse” e da una società etero normativa come la nostra.
Per questo la nostra lotta è INTERSEZIONALE. Perché non possiamo combattere l’omolesbobitransafobia senza opporci a razzismo, sessismo, povertà, xenofobia E LE GUERRE COLONIALISTE.
Intersezionalità significa riconoscere che le oppressioni si intrecciano.
E allora il Pride deve essere transfemminista. Deve riconoscere che la lotta contro il sistema patriarcale o include le persone transgender, le sex worker, le persone non binarie, le persone disabili, oppure non è lotta.
A chi ci guarda e pensa che sia solo una celebrazione, rispondiamo che questa è la nostra resistenza.
Oggi marciamo anche per chi non può esserci, per le persone uccise, per quelle costrette al silenzio, per chi vive in Paesi dove l’omosessualità è un reato e manifestare i propri diritti è vietato, per le persone che sono stanche di essere escluse dalla propria famiglia, siamo qui per costruire un mondo dove poter crescere senza paura di essere noi stessi, senza dover scegliere tra amare e sopravvivere, dove nessuno debba chiedere il permesso di esistere.
Vogliamo l’educazione sessuo-affettiva in tutte le scuole, a partire dalla prima infanzia!
Vogliamo vere tutele su ciò che riguarda i nostri corpi, perché su quelli decidiamo noi e soltanto noi!
Vogliamo leggi che ci tutelino REALMENTE da ogni forma di discriminazione!
Vogliamo che non esista più una distinzione tra le cittadine basata sull’ orientamento, l’identità di genere.
I diritti non sono una concessione e fino a quando tutti e tutte non saremo libere, nessuna lo sarà davvero!
Intervento Spartak
Ciao a tutte,
Sono Sofia, e vorrei portarvi una riflessione dello Spartak Lecce sulla giornata di oggi.
poco più di venti giorni fa è stato approvato al Senato il DDL sicurezza. Si può dire, senza mezzi termini, che il governo ha sferrato un attacco diretto alla democrazia e ai nostri diritti più basilari. Basti vedere cosa è successo a Bologna a seguito della breve occupazione del tratto di tangenziale.
Da più parti si è commentato, a giusta ragione, che questo decreto avalla una “visione panpenalista repressiva”, ovvero che ha l’intento di creare un effetto di dissuasione, e quindi di farci paura, di farci stare zitte.
Sono richiamate norme ambigue, come quella di “resistenza passiva a pubblico ufficiale”, che ci paiono talmente larghe da poter rendere ogni forma di dissenso pacifico suscettibile di criminalizzazione.
È lo stesso giochetto già visto in passato. Questo governo – ricordate l’invito alla sobrietà per il 25 aprile – insinua il concetto di pericoli inventati, minacce fabbricate ad arte per limitare l’esercizio dei diritti e delle libertà per ogni persona.
È così difficile immaginare che un giorno qualcuno possa dire che le nostre manifestazioni, quelle a cui prendiamo parte come gruppo politico-sportivo, quelle come quest’orda, turbano la comunità, e che quindi non si devono fare?
Limitare la libertà di manifestare significa togliere dignità alle nostre vite ma il decreto legge non si limita a questo, colpisce con incredibile violenza intere fasce di popolazione marginalizzata.
Se pensiamo alla situazione della comunità Lgbtqia+, siamo di fronte a persone vessate da un continuo bullismo di Stato, in un contesto in cui continue aggressioni e violenza omolesbobitransfobica sono legittimate dalla mancanza di misure preventive e tutele giuridiche.
La triste verità è che i diritti conquistati per mezzo delle lotte degli anni passati son costantemente sotto attacco: pensiamo all’aborto, diritto già menomato dell’infame prassi dell’obiezione del personale medico negli ospedali, finito per essere limitato ulteriormente da quello che inizialmente doveva essere un decreto legge sul fine vita.
L’esecutivo vuole mettere il proprio controllo dal concepimento alla morte; e le nostre vite, che sono nel mezzo?
Fin da quando veniamo al mondo, ci viene inculcato che per realizzarci dobbiamo pensare esclusivamente al nostro io, calpestando tutto il resto, in osservanza al pensiero capitalista. Il risultato è la solitudine sempre più profonda in cui sprofondiamo come persone, ridotte al silenzio.
Ovunque – dai paesini ai quartieri delle città – stanno smantellando le comunità che negli anni hanno provato a resistere a questo processo. E l’individuo, ridotto alla solitudine, spesso non fa altro che prendersela con chi appare l’obiettivo più semplice, cioè con le più fragili, con chi appartiene alle fasce più deboli della popolazione.
Anche il controllo della sessualità e dei nostri corpi è funzionale a questa strategia: non è un caso se dietro certi discorsi contro le cosiddette e fantomatiche ideologie gender si nasconde la più feroce omolesbobitransfobia. Il tutto mascherato da protezione della virtù delle bambine.
Noi siamo una piccola squadra di calcio popolare, che invece di inseguire il pallone dei grandi preferisce costruire comunità. Le nostre parole d’ordine sono antifascismo, antisessismo, antirazzismo.
Passare dalla teoria alla pratica non è facile, specialmente in un mondo come quello del calcio, dove spesso la narrazione tossica è imperante.
Noi crediamo che si possa ripartire da qui: destrutturare il linguaggio, ripartire dai piccoli gesti che spesso portano in sé grandi significati, mantenere una pulsione critica verso lo status quo dell’esistente possa essere il primo passo per provare a cambiare davvero.
Intervento Amnesty
Che significato ha essere qui oggi e anno dopo anno, al fianco di chi lotta per il
riconoscimento delle proprie identità e dei propri diritti, al fianco di chi rende quella lotta
elemento di autocoscienza e di elaborazione di pratiche che contrastino la discriminazione
sistemica, vorremmo spiegarlo così: il 18 aprile, un mese dopo l’entrata in vigore della legge
che ha di fatto vietato l’organizzazione e lo svolgimento dei Pride in Ungheria, e che tra le altre
norme legalizza il riconoscimento facciale delle persone partecipanti in maniera
sostanzialmente arbitraria, Amnesty International insieme a tante altre organizzazioni della
società civile ha lanciato la petizione #letpridemarch, per chiedere che il 30° Budapest Pride
di oggi si svolgesse senza intimidazioni, molestie o violenze da parte della polizia. 3 giorni fa le
firme raccolte erano di 120.000 persone in 73 stati diversi.
Oggi, 28 giugno 2025, il Budapest Pride si sta celebrando* anche grazie alla rete di supporto e
azione internazionale che, gridando, ha sfidato le autorità ungheresi.
Essere qui significa esattamente questo: stiamo parlando di un paese in cui a gennaio 2024 il
parlamento ha reso reato la deturpazione o il danneggiamento di edifici e manufatti storici
durante le manifestazioni; in cui il parlamento ha discusso un disegno di legge sulla sicurezza
che includeva disposizioni draconiane che limitavano il diritto di riunione pacifica; in cui a
dicembre, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha chiesto al parlamento
di modificare in modo sostanziale quel disegno di legge per garantire il rispetto degli standard
sui diritti umani; in cui ancora quest’anno in numerose occasioni, la polizia è ricorsa a un uso
eccessivo e non necessario della forza contro manifestanti. Il punto è che non stiamo più
descrivendo l’Ungheria, stiamo parlando dell’Italia del 2025.
In un paese come questo, in cui il potere intende reprimere il dissenso, essere qui oggi a
sfidare quel potere cantando ancora una volta, e ancora più forte, significa rendere chiaro a
chiunque che non abbiamo paura nel momento in cui l’azione collettiva delle persone si
unisce per abbattere le ingiustizie.
Le campagne che abbiamo portato oggi in piazza dicono questo: siamo orgogliose di essere,
siamo orgogliose di esserci, perché con la forza di queste voci possiamo arrivare a rovinare i
piani di chi vorrebbe renderci invisibili, e perché ancora una volta tutte insieme sappiamo che
non può esistere Pride nel genocidio, ma solo in lotta per la giustizia sociale e intersezionale.
intervento Fridays for future
Ciao, sono Derbiliante e sono qui per parlarvi a nome di Fridays For Future Lecce. Lo conoscete?
Ci occupiamo di tematiche sociali e ambientali che hanno a che fare con il capitalismo, il colonialismo, il consumismo e in generale le relazioni che noi instauriamo con l’ambiente e le persone che lo vivono. Queste lotte hanno le stesse forme delle lotte femministe, hanno la stessa sensibilità dell’intersezionalità. Queste lotte vanno a scardinare le più profonde e radicate parti del sistema sociale oppressivo in cui viviamo, e per affrontarle dobbiamo mettere in discussione quei privilegi che abbiamo pur non essendo assolutamente persone privilegiate. Privilegi che non sapevamo di avere, da persone oppresse quali siamo.
Abbiamo il privilegio di poter acquistare a bassissimo prezzo cosmetici sofisticati o vestiti dal forte impatto estetico. Ci avete pensato preparandovi per questo Pride?
Abbiamo il privilegio di avere l’acqua che scorre dai nostri rubinetti, mentre in Basilicata, da dove l’acquedotto pugliese attinge, 140 mila persone hanno l’acqua razionata.
Abbiamo il privilegio di comprare il nostro cibo, anziché raccoglierlo sotto al sole o allevarlo per lunghi mesi prima di macellarlo. In realtà, non sembra tanto un privilegio, perché mentre le nostre terre vengono depredate, sfruttate e inquinate, riempite di persone oppresse fino alla schiavitù e animali messi ancora peggio, noi siamo obbligate ad usare il nostro tempo e le nostre energie come scambio per avere denaro e poter mangiare.
Non è facile decostruire il proprio ruolo sociale in questo sistema oppressivo. Ma è quello che chiediamo a chi è più potente di noi! Chiediamo che i nostri corpi siano nostri, senza essere oggetto di sguardi o regole di altri. Chiediamo di essere riconosciute come persone non solo libere, ma complesse, capaci di autodeterminarsi in modi unici e preziosi. Chiediamo che il potere decisionale di uomini e Istituzioni venga messo in discussione radicalmente, perché compromette la nostra salute e la nostra vita.
Chiediamo cose basilari, eppure sembrano così impossibili!
Dimostriamo loro, e anche a noi stesse, che decostruire è possibile, anzi, è normale. Dimostriamo loro che poter scegliere con leggerezza sulla vita e sulla morte di altri esseri viventi non è normale, non è possibile. Dimostriamo loro che il sistema lo scegliamo noi, e lo scegliamo per preservare la bellezza e la vita in questo mondo!
Vi avviso che queste scelte sono difficili da fare.
Non parlo dell’alimentazione, perché evitare di mangiare carne per un mese non è così difficile come sembra, e poi il resto va da sé. È difficile quando il nostro valore in quanto persone si dimostra da quanto siamo disposte a sacrificare, ad opprimere. Lo vediamo nella mascolinità tossica, dove chiaramente il valore di un uomo dipende da quanto potere riesce a depredare, ma anche nella fast-fashion e ultra-fast-fahion, dove la produzione massiva di abiti va a braccetto con la voglia di vestirsi bene. Proprio perché queste scelte mettono in discussione il valore socialmente attribuito e riconosciuto, vediamo quanto disprezzo queste scelte possano generare quando lasciamo crescere i nostri peli, ma anche quando ci chiediamo che impatto ambientale e sociale generiamo, o quando scendiamo in strada per difendere chi è brutalmente oppresso, come in Palestina o nei CPR (i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, veri e propri lager, di cui uno è a Brindisi, a due passi da noi).
Queste e altre scelte difficili sono necessarie. Sono quelle che realmente danno valore alle nostre vite e alla nostra dignità. Vi auguro di decostruirvi, di essere libere di scegliere senza opprimere, di costruire un mondo fatto di dignità e non apparenze. E se vorrete farlo con noi di Fridays For Future Lecce, ci potete seguire e partecipare ogni venerdì alle nostre assemblee aperte.
Grazie per l’attenzione e la sensibilità. Grazie anche alla traduttrice LIS e a Officine M.A.I.+ per questo Pride.
intervento Casa del Popolo
Buona sera a tutte e tutti
sono Laila della casa del Popolo Silvia Picci Lecce
è un piacere intervenire in una così importante, gioiosa e bella manifestazione, in un mometo storico in cui la guerra, la tendenza all’ autoritarismo, la corsa al riarmo, sembrano essere l’ unico argomento di cui si occupano i nostri politici, mai come ora è fondamentale alzare ancora la voce e farci sentire. La tutela dei diritti civili è delegata a leggi di facciata, specchietti per le allodole, che non aiutano a risolvere i problemi anzi li amplificano e generano ancora più confusione. In realtà le disuguaglianze di genere sono sistemiche e sono di classe. La giustizia e la legislazione patriarcale e autoritaria non è in grado di superare questa crisi sociale. Il governo italiano cosa fa? Come contentino per chi solleva il problema sulla violenza di genere, promulga prima un disegno di legge squisitamente punitivo, senza minimamente pensare a risolvere le cause che hanno portato a questo livello di violenza quotidiana, e quando si fa notare che forse il rimedio trovato non è sufficiente a risolvere il problema due parlamentari, peraltro donne, riscrivono il reato di femminicidio precisando che sarà punito solo chi uccide come conseguenza diretta di un rifiuto da parte di una DONNA o come frutto della volontà di costringere sempre la DONNA a subire una limitazione della sua libertà. Ma in tutti gli altri casi in cui l’omicidio è premeditato? Il rischio è che ricada in un caso di omicidio senza aggravanti? E se ad essere uccisa è una donna ma che all’anagrafe non risulta donna? Cosa diranno “ci spiace
ma il soggetto non è inquadrabile nel caso previsto dalla legge?” tralasciando cosa diventerebbero tutti gli infiniti casi di violenza psicologica e stolkeraggio. Tutto la comunità transfemminista si interroga sulla giustizia trasformativa, su come far sì che la violenza di genere non sia sistemica e su come poter costruire una giustizia trasformativa profonda e ampia simultaneamente, in modo da diventare persone diverse, non fondamentalmente costituite attraverso il trauma, mentre costruiamo un mondo che crea meno traumi. Per questo e per prenderci le cose che vogliamo dobbiamo fare sempre più rumore e sempre più alleanze ribelli.
intervento CAS L’Amara
Dal 1 luglio sarà attivo a Lecce il Centro Antidiscriminazione L’Amara, una nuova realtà voluta da sette associazioni del territorio (Zei spazio sociale, Divagare, 73100 GAYA, Transparent, Arci Cassandra, LeA-Liberamente e Apertamente, Arcigay Salento) e nata grazie al contributo dell’unar-ufficio nazionale antidiscriminazione razziale.
Abbiamo scelto di intitolare il nostro a la Mara, figura controversa ma importante per il territorio perché ci ha insegnato la queerness prima che fosse oggetto di elaborazione anche da parte della comunità. Ci ha insegnato che vuol dire vivere ai margini ed essere marginalizzate e discriminate.
Anno fa quando abbiamo iniziato a ragionare insieme delle discriminazioni che subiamo personalmente per il nostro orientamento sessuale, la nostra identità di genere, i nostri corpi, le nostre decisioni, il nostro attivismo ci siamo rese conto che la discriminazione toccava tutte noi e tutti gli aspetti delle nostre vite. E ci siamo anche rese conto che questa questione doveva uscire dai margini. Che dovevamo lavorare insieme per contrastare le discriminazioni su tutti i livelli.
nel tempo in cui siamo, è per noi una responsabilità avere la possibilità di coltivare uno spazio collettivo, un luogo sicuro per la comunità, non solo di denuncia e supporto, ma di costruzione di nuove possibilità. responsabilità che viene dal privilegio di essere realtà che operano da anni sul territorio e nata dall’azione congiunta di persone che a loro volta si sono attivate per depotenziare ed eliminare le discriminazioni subite per il proprio orientamento sessuale e identità di genere.
Siamo qui oggi per dire alla comunità tutta che da quei giorni abbiamo fatto tanta strada. Siamo riuscite a strutturare un progetto che si occupi sia delle singole persone che di strategie collettive per l’emersione e la decostruzione delle discriminazioni, anche quelle più sotterranee e giacenti negli strati più profondi di una cultura come la nostra, binaria e patriarcale e che ci nutrono nostro malgrado.
Ma siamo qui per dire che la comunità rimane il centro propulsore di ogni azione. Esiste un centro antidiscriminazione che può avere vita ed essere efficace solo se tutta la comunità se ne sente parte, con segnalazioni e proposte di azione, raccogliendo dati e facendo vivere uno splendido e composito progetto
La sede principale del CAD L’Amara è lo Spazio sociale Zei. Giorni e orari di apertura e tutti i vari contatti li troverete sul profilo instagram cad_lamara_lecce che vi invitiamo a seguire e che sarà attivato nei prossimi giorni.
Buon Pride di amore, cura e lotta